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martedì 12 marzo 2013

TRIBUTO A HENRI KRUG




Difficile non pensare al paradosso guardando negli occhi Henri Krug. Lui stesso è inusuale, le sue mani, la sua figura semplice ed elegante, il suo naso. Quello che gli ha permesso per quarant' anni di creare un vino inimitabile. Il peso di una famiglia arrivata alla sesta generazione e gli affanni di chi, con ostinazione, accontenta quel gusto nel mondo. In poche parole, un artigiano che produce le più pregiate bollicine della terra. Nascere Krug «non significa automaticamente essere Krug», dice con un filo di sorriso. «Il 15 settembre 1962, quando tornai dal servizio militare in Algeria, raggiunsi mio padre, Paul, a Reims. Mi disse: sarai dirigente tecnico. Capii subito, incrociando il suo sguardo, che significava: vedremo». Quell' aria un po' svanita, da ufficiale senza comando, che tuttora conserva, non lo dimezzò. Anzi, finché suo padre è rimasto in vita, lo ha chiamato accanto a sé, ad annusare milioni di bicchieri per cercare quel gusto unico. «Ho sempre voluto l' eccezione, come i miei avi, declinando il compromesso. Nella nostra maison c' è una parola che non esiste: forse. Un vino è degno di far parte di una grand cuvée, oppure no. Ci neghiamo la possibilità della scelta obbligata. Forse per questo il culto Krug ha un brutto carattere. Ma è quanto ci interessa». Così è dal 1843, quando Johann-Joseph, nativo di Magonza, fondò la fabbrica dell' azzardo e del rigore, gli stessi della complessa Grand Cuvée, assemblaggio di 50 vini di dieci annate diverse. Con una particolarità, la fermentazione in piccole botti di rovere. Filosofo, discreto, Henri è amico dei vigneron e vizia i potenti a tavola, ma non solo. Il suo champagne raggiunge luoghi insospettabili. Come accadde alla buonanima della Regina madre d' Inghilterra, alcuni anni fa, ricoverata in clinica. Chi vide e raccontò dell' arrivo, nella stanza reale, di due bottiglie di Krug, magicamente coperte da biscotti fatti a mano, passò un brutto quarto d' ora. C' è anche chi, pure avvezzo ai colpi di teatro, come Gerard Depardieu, produttore di vino lui stesso, ha sentito il richiamo irresistibile di varcare il cancello di rue Coquebert, a Reims. «Ecco, se posso osare un paradosso, il nostro champagne nasce con la stessa passione che scaturisce da quell' attore. Le nostre cantine sono diventate palcoscenico per una sua performance che ci ha sorpresi, poi ha gridato due volte: siete dei giganti. Eravamo imbarazzati». La galleria dei Krug-lovers è fitta di personaggi: Ernest Hemingway, che lo beveva alla prima colazione al Ritz di Parigi, Ives Montand, Maria Callas, Coco Chanel, Kate Moss, Sharon Stone, Martin Scorsese, Bruce Springsteen, Giorgio Armani, «che adora degustare l' annata 1964 in formato magnum», dice Rémi Krug, presidente della maison e accompagnatore del fratello in questo viaggio in Italia, prima a Roma, poi a Firenze. Tutti stregati, ma pronti a perdere la pazienza se manca la bottiglia. «Com' è accaduto a Sting, in Toscana, l' estate scorsa - dice Rémi - e noi abbiamo provveduto». In che modo? Da Reims, è partita una delle due Rolls Royce della casa, con l' effervescente carico. Henri nel 1976 inventa il Rosé, elegante, suadente, fruttato. Il preferito da Catherine Deneuve. Ma anche quello che asseconda i desideri dello chef parigino Alain Senderens. Dice Henri, quasi a giustificare: «Sono loro che ci hanno scelto, noi non facciamo marketing». Appena mezzo milione di bottiglie, ricavate da 18 ettari di vigneto: l' 85 per cento inviato all' estero. I prezzi sono alti: da 100 a 400 euro. Per l' annata 1962 si raggiunge la follia: 1.100 euro. Il mercato italiano è il primo, con circa 80 mila bottiglie spedite. E non è tutto. L' eccellenza è rappresentata dal Clos du Mesnil, circa 250 euro, un blanc de blancs prodotto in 12 mila pezzi, da vigneto storico, 1,85 ettari cintati da un muro dal 1698, nel cuore di Reims. Una leggenda che, giunta alla quinta generazione, segna il passaggio alla sesta con l' avvento di Olivier, figlio di Henri, e Caroline, figlia di Rémi, per ora entrati in maison, metaforicamente dalla porta di servizio Era emozionato il 65enne Henri, negli studi di RaiSat-Gambero Rosso Channel, commentando l' annata 1962, la sua prima: «Davvero uno Champagne può vivere 40 anni? Se non lo avessi fatto io, faticherei a crederlo». 
Corriere della Sera 5 ottobre 2002

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