di Davide Dutto, fotoreporter
Noi istintivi, spesso spieghiamo concetti e sentimenti profondi senza trovare le giuste parole. Magari essere poeti. Però vediamo bene chi ci sta davanti e i suoi muscoli facciali formare un punto interrogativo. Allora con vigore, qui nelle Langhe potremmo dire “CAPISME!!! Capiscimi!! Fai qualcosa tu e aiutami a spiegarti”.
Così il nebbiolo “Capisme-e” di Domenico Clerico, che proviene da due ettari del vigneto Manzoni, senza troppe parole, senza passaggio in botte, con una macerazione in bucce dai 7 ai 10 giorni, arriverà nel bicchiere chiedendoti di capirlo, di capire il mondo Aeroplan servaj (aeroplano selvatico). Aeroplan Servaj era il soprannome con cui Clerico Padre chiamava Domenico, ovvero un fanciullo, un ragazzo e infine un uomo che vola con la fantasia sulle colline che lo circondano e atterra, talvolta, per qualche secondo per far parte del mondo reale. Quel mondo parte dalla terra, e i suoi sogni dalla testa, in tempi non sospetti, tempi di avanguardie e sperimentazione in vigna e in cantina. Domenico doveva stare attento a Clerico Padre nel periodo del diradamento. Nessuno si permetteva ancora di togliere parte dei frutti alla pianta in quei tempi. Allora Domenico aspettava i giorni della gita estiva parrocchiale, quando i suoi genitori si sarebbero assentati, e via a diradare e a nascondere i grappoli recisi. Prima un pezzettino e poi anno dopo anno su tutti i filari. “I vecchi non avrebbero mai concepito il diradamento, tagliare e buttare alcuni frutti della pianta, MAI!! Se lo avessero saputo…”.
Chi veniva dal dopoguerra giustamente non avrebbe mai accettato lo “spreco”. Insomma l’altro giorno a cavallo di questo mite agosto, sono partito da Fossano con la mia Vespa primavera per incontrarmi con Paolo Reina proprietario dell’antica trattoria del Gallo di Gaggiano e Domenico Clerico grande personalità e grande produttore di vini pregiati a Monforte d’Alba, nella sua nuova cantina che sta per essere inaugurata. Abbiamo degustato dolcetto, barbera, nebbiolo, i baroli per poi finire a cena alla Locanda del Borgo Antico. Non devo dire altro, si capisce che pezzo di Langa ho messo nella mia sacca di fotografo ambulante.
La cantina è un’opera mastodontica, integrata nel paesaggio in modo esibizionisticamente discreto e naturale. Da una parte simula le colline, dall’altra diventa strumento del dopo vendemmia con spazi adibiti ai mezzi, uomini e visitatori, con grande utilizzo di vetri e acciaio e forme geometriche che incorniciano il cielo. Ho visto e bevuto questa realtà che è scesa dal trattore e ha posato per un attimo la zappa per utilizzare mezzi nuovi, accettati non senza diffidenza, ma davanti al riscontro qualitativo e pratico ci si piega volentieri. Comunque la vanga e la zappa vincono ancora su certa tecnologia. “Via, via sa roba sì! Non voglio vedere il computer sulla mia scrivania. Via, via…”. Così Domenico con questa cantina mette la cornice al suo mondo, dove il lavoro di generazioni tra i filari ha fatto la differenza. Esibisce l’oggetto con orgoglio, fissando il punto dove insieme alla famiglia sono arrivati.
Capisme-e, diventa quindi la filosofia che deve accompagnarci per andare incontro a questi grandi vini e storie, non certo il rovescio.