Sono gli effetti della riforma del mercato del vino voluta ed imposta da Bruxelles nell’agosto 2009 a fare volare l’export. Contro la sua applicazione si erano fortemente schierati in Italia, trincerandosi dietro corporazioni ed associazioni di categoria, i succhiatori perenni di contributi ed i loro complici privilegiati che ne traevano vantaggio. Non mancano analogie con quanto avviene ora con il governo Monti accusato di introdurre misure che “ci vengono imposte dall’Europa”. La riforma voluta da Bruxelles si ispirò al comune buon senso, merce rara, mettendo la parola fine all’enorme spreco perpetuato per oltre trent’anni di denaro pubblico destinato alla distruzione delle eccedenze ed introducendo misure atte a riequilibrare il mercato del vino. I contributi comunitari prima largamente sperperati vengono ora destinati a co-finanziare l’azione di promozione dei produttori di vino sui mercati extra-comunitari e fanno volare l’export nonostante i tempi di crisi. Il numero degli esportatori è cresciuto in breve tempo del 30%, sdoganando anche un buon numero di produttori artigiani di vino, degli oltre venticinquemila che il nostro paese ha la fortuna di avere, incoraggiandoli a fare rete, ad andare sui mercati esteri a narrare, a raccontare storie e passioni legate a tradizioni od innovazioni, rendendoli compartecipi della costruzione di una immagine più autorevole del vino italiano.
L’accresciuto interesse verso i mercati esteri non indurrà i produttori di vino a trascurare il mercato interno.
I due mercati sono complementari, quello nazionale è più difficile ma anche molto utile per la preziosa funzione che ha di formare e costruire gli imprenditori. Le cantine i cui vini godono di un adeguato posizionamento sul mercato interno sono spesso le stesse che raccolgono buoni risultati sui mercati esteri.
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