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lunedì 27 novembre 2017

"CAMPAMAC", GAROLA SFIDA BARBARESCO




Parte poco lontano da dove lo chef Maurilio Garola ha raccolto i successi della sua cucina, la "Ciau del Tornavento" di Treiso, la nuova sfida tra i fornelli. A Barbaresco, terra di colline e grandi vini, patria di Angelo Gaja, lo chef e il suo socio Paolo Dalla Mora, hanno inaugurato "Campamac", osteria di livello per battezzare così un desco informale, che fa della carne Fassone e della qualità, i suoi passi importanti.  Campamac vuole essere il tributo alla passione in cucina, un luogo caro a Maurilio secondo il suo Dna, dove ogni giorno si sforna il pane, la pasta fresca, si preparano i plin di oca, il vitello tonnato, arrivano i formaggi di Altalanga. Attenzione ai prodotti e alla stagionalità.  E alla carne, vera passione di questo luogo, dove accanto alla battuta al coltello ci sono spiedo e griglia con la possibilità di scegliere varie frollature. Cantina spaziale come d'abitudine per i padroni di casa. Cucina a vista e arredi di design. Una finestra confortevole su chi ama il cibo sano e gustoso. "La mia seconda anima tra i fornelli", senza dimenticare "La Ciau del Tornavento" e il suo culto, sostiene lo chef.



















DOVE COME QUANDO

Campamac
Osteria di livello
Strada Giro della Valle, 1
Barbaresco (Cuneo)


domenica 26 novembre 2017

SANGIOVESE-GAGLIOPPO, FINISCE PARI



Piacevole confronto tra Sangiovese e Gaglioppo di fronte a un boccone autunnale di cotechino e purea. I due rossi, pur diversi, hanno messo in luce finezza, sostanza e gran naso. Il toscano di Paolo Caciorgna ancora una volta dimostra cosa può diventare questo vitigno spigoloso se governato con sapienza. Un rosso incantevole che non disdegna tanto la tavola rustica quanto quella elaborata. Stesso valore per il Gaglioppo allevato in Calabria dalla famiglia Ceraudo. Un vino fine, di stoffa, piacevole, dal gusto lungo e bene equilibrato. Quasi impossibile, nella diversità, il prevalere di uno rispetto all'altro.









THINGS WE LOVE: STUTZ-PFISTER




martedì 24 ottobre 2017

THINGS WE LOVE: CRUDO DI CUNEO DOP






DOVE COME QUANDO

Salumeria Gran Dock
Carni Dock
Strada Manta 5/A
Lagnasco (Cuneo)



lunedì 25 settembre 2017

GAJA: "DIMMI QUALE MOSTO USI, TI DIRO' CHI SEI"



di ANGELO GAJA


Cambiamenti

Sono almeno tre i cambiamenti significativi avvenuti nel mondo del vino negli ultimi decenni.

1. Perdita della funzione alimentare
Ovunque nei paesi produttori il vino da bene alimentare che era, ha assunto la funzione di bene di lusso, indipendentemente dal prezzo, perchè non indispensabile, non di prima necessità. Il paese più preparato ad affrontare la transizione fu la Francia che al vino bevanda di luso aveva sempre riservato una minuscola nicchia. Mentre per l'Italia, il passaggio è stato culturalmente più faticoso da affrontare per le molte strutture, regolamenti e resistenze che traevano ispirazione dalla funzione alimentare. I beni di lusso richiedono tecniche di vendita diverse: occorre mettere in atto azioni di marketing appropriate, aggressive e continue nel tempo anziché accontentarsi della vecchia strategia rinunciataria e perdente del prezzo basso. A cosa serve il marketing? A fare si che un bene venga preferito a un altro non tanto per il rapporto qualità/prezzo, quanto per altri valori apprezzati dal consumatore: aver conosciuto il produttore, condividerne i progetti, riconoscerne la dedizione alla qualità, riporre fiducia nella denominazione e nel marchio, popolarità, notorietà, novità, rarità, storia, prestigio... che in parte possono anche essere costruiti artificiosamente, ma è sviante diffidare sistematicamente della parola marketing; perchè quando è sano e corretto consente di consolidare il legame con i consumatori, dare più visibilità ai marchi aziendali e recuperare valore aggiunto.



2. Il cambiamento climatico
E' divenuto un tema di grande attualità ed i rimedi per contrastarne gli effetti sono stati ampiamente dibattuti. Non mi appello al "mal comune mezzo gaudio", però ad oggi è possibile osservare che altri paesi stiano peggio dell'Italia. Giacomo Tachis, il padre dei consulenti vinicoli italiani, usava dire che "il vino ama il respiro del mare". Il nostro paese, con 8000 chilometri di fascia costiera, è molto più favorito della Francia e della Spagna; gode di una orografia che lo rende ricco di acqua (ne vendiamo anche miliardi di litri in bottiglia). La conformazione collinare consente di elevarsi di quota, alla ricerca di climi più freschi (cosa che non può fare Bordeaux). L'Italia annovera un ampio numero di varietà di maturazione tardiva, che il cambiamento climatico penalizza meno di quelle precoci delle quali la Francia è ricca. L'annata 2017 insegna, per chi vuole imparare, le misure di contrasto da adottare.






3. I vini varietali
Diversi paesi extra-europei, da potenziali importatori di vino che erano, si attrezzarono per diventare produttori. L'avvio lo diedero gli Stati Uniti che si ispirarono alla Francia. Presero ad impiantare vigneti delle varietà Cabernet, Merlot, Chardonnay e poche altre. L'esempio degli Stati Uniti fu ben resto seguito da Cile, Argentina, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Israele... (sulla stessa strada si sta avviando la Cina), i quali fecero crescere la produzione con l'obiettivo dapprima di consolidare la domanda sui rispettivi mercati interni e poi diventare anch'essi paesi esportatori. Tutti a produrre vini dalle poche identiche varietà francesi, quelli che con malcelato disprezzo definiamo di gusto internazionale. Questi vini godono sui mercati extraeuropei di crescenti vantaggi: portano nomi varietali, pochi e facili da memorizzare; a farne crescere la domanda contribuiscono congiuntamente tutti assieme i paesi del nuovo mondo; costruiscono assuefazione al gusto specie tra i nuovi consumatori; sono sostenuti da un marketing aggressivo e differenziato; le cantine che li producono non godono di sostegno pubblico, così la selezione degli imprenditori capaci di stare sul mercato è più efficace. L'Italia invece si trova nella condizione di essere l'unica nazione a produrre e costruire domanda su vini derivanti da alcune centinaia di varietà storiche, coltivate esclusivamente nel nostro paese, che danno origine ad oltre 520 denominazioni. Si avvertono così oggi segnali di inquietudine a causa di un mercato estero divenuto più competitivo. I cambiamenti ai quali ho accennato creano difficoltà e problematiche nuove per affrontare le quali occorrono apertura mentale, capacità di osservazione, disponibilità ad assumere il rischio d'impresa, applicazione di nuove strategie, investimenti. Anche i produttori medio-piccoli (gli aggettivi fanno riferimento alla dimensione aziendale) ne hanno consapevolezza e molti tra essi sono in grado di accogliere la sfida. Il sostegno che essi sono in grado di offrire al successo del vino italiano viene spesso sottovalutato: l'idea che i produttori medio-piccoli costituiscano una palla al piede per il vino italiano è profondamente sbagliata. Essi sono spesso capaci di pensare diverso, di esplorare strade nuove e lo fanno con capitali propri ed a proprio rischio senza succhiare denaro pubblico; se avranno successo forniranno utili esempi. Lo fecero in passato Ferruccio Biondi Santi, Mario Incisa della Rocchetta, Edoardo Valentini... Numerosi quelli che lo stanno facendo ora. Per questa ragione svolgono una azione sinergica e complementare a quella dei produttori di grandi volumi. Furono principalmente i produttori medio-piccoli, nei decenni Sessanta, Settanta e Ottanta, con la loro dedizione alla qualità, a contrastare la dilagante frode commerciale, gli scandali, l'immagine di assoluta modestia che sui mercati esteri veniva attribuita al vino italiano.




Dopo di allora però la burocrazia crebbe a dismisura, si accanì, e sono i produttori medio-piccoli a soffrirla maggiormente, proprio quelli che andrebbero sostenuti, recuperati. Per favorire la crescita del vino italiano è indispensabile allentare l'abbraccio soffocante della burocrazia e rimuovere le molte ruggini accumulate nel tempo. Affinchè non svaniscano gli effetti delle misure introdotte recentemente dal Testo Unico occorre accelerare l'approvazione dei decreti attuativi; ad ostacolarne il percorso sono però le associazioni di categoria che difendono accanitamente i propri interessi e preferiscono lo stallo a soluzioni che non le favoriscano. I produttori medio-piccoli potrebbero farne le spese. Cinquant'anni fa si decise che il settore vitivinicolo dovesse essere sostenuto con forti iniezioni di denaro pubblico: per tutelare la funzione alimentare del vino e  sottrarre i viticoltori dalle grinfie dei commercianti che dominavano il mercato dell'uva. I cambiamenti sopraggiunti sono stati profondi. L'assistenzialismo ad oltranza non è più una esigenza come allora, crea distorsioni al mercato ed alimenta interferenze politiche. Per questo motivo occorre fare appello al principio della trasparenza. A quanto ammonta annualmente il sostegno pubblico al comparto viti-vinicolo italiano? A quali settori e in quali misure viene assegnato? Quali sono le cantine che utilizzeranno mosto concentrato o zucchero d'uva nell'annata 2017? Quando ovunque in Italia la pratica di correzione dei mosti non è necessaria. Dovremmo imparare a indignarci nel 2018 allorchè verremo ad apprendere di cantine che venderanno all'ingrosso, agli imbottigliatori, volumi di vino italiano dell'annata 2017 a meno di un euro al litro, quando il calo di produzione nazionale potrebbe superare il 30% (i loro vigneti stanno sotto un altro cielo?). Che interesse ha l'Italia a gareggiare per il primato della quantità annuale di produzione di vino, confortati come è vero che sia anche di buona qualità, e poi apprendere che all'export viene venduto a un prezzo medio al litro che è uno dei più bassi al mondo?




THINGS WE LOVE: BLANC DE NOIRS

mercoledì 26 luglio 2017

LAROSSA: C'E' UN' ACCIUGA SUL TAPPETO






Giocando con la fantasia sembrerebbero lembi dei court di Wimbledon risparmiati al calpestio dei campioni del tennis. Sono in realtà gli amuse bouche di lingua al bagnetto verde liofilizzato che serve Andrea Larossa, chef patron del ristorante che porta il suo cognome, ad Alba.  Con lui la sua compagna Patrizia Cappellaro, in sala e sommelier, al governo di una cantina con oltre trecento etichette.  Mi sono divertito a fotografarlo questo exploit di un cuoco in cerca di identità nella confusione che ormai regna sulle tavole di tutto il mondo. Non è il caso di Andrea che rispettando la tradizione in un luogo sacro per la cucina come Alba, ha le idee chiare e riesce ad amministrare tradizione, fantasia e innovazione facendo uso di una cucina molecolare molto soft, comunque di gran gusto,  senza offesa per nessuno, un po' alla Grant Achatz, chef statunitense piuttosto che Ferran Adrià inventore del food design.








Anche l'ovetto, naturalmente in ceramica, contenente fonduta di stravecchio friulano con crumble al cacao amaro e bonbon di mela verde, sorprende nell'estetica e rende nel gusto, coinvolgendo in questo gioco dell'appetito e della curiosità a tavola. Lo chef, molto self made man e con autorevoli stage, uno per tutti da Cracco, a Milano, fa suo il connubio colore-sapore, dolcezza e amaro lasciando il palato fresco ed appagato.



Tartufo? Niente affatto, è il Blu di Langa disidratato. L'erborinato a pasta molle è un formaggio appetitoso e Andrea ne fa buon uso nei piatti della tradizione. Piccoli tocchetti dal sapore garantito. Come altri prodotti utilizzati in cucina: dalla mozzarella ai frutti di bosco. Davvero "Inaspettato", termine che lo chef ama associare al suo menù classico.



A proposito di classico chi più del Carnaroli cotto all'acqua, stravecchio friulano e liquerizia (la vena innovativa) può sorprendere. Forse troppo, la liquerizia è sapore deciso, ma in questo piatto fa la sua bella figura. Come la pancia di maialino laccata, salsa speziata, polvere di curcuma e bonbon di mela. Gusto e colore.



DOVE COME QUANDO

Larossa Ristorante in Alba
Via Don Giacomo Alberione, 10/D
Alba (Cuneo)
Tel. +39 0173 060 639
www.ristorantelarossa.it




mercoledì 5 luglio 2017

NIZZA: LA BARBERA DEBUTTA CON LA RISERVA





Era nell'aria questo debutto della Barbera Riserva Nizza Docg. Una bottiglia che mancava nella tipologia del rosso allevato nelle vigne del Monferrato e invecchiato 30 mesi, dei quali 12 in legno. Attualmente la tendenza da parte dei produttori è l'utilizzo della botte grande a discapito della barrique, abbandonata da circa il 20 per cento dei viticoltori. Severo il disciplinare che prevede esclusivamente vigneti esposti a Sud, Sud-Est. Marco Bonfante (nelle immagini, etichetta e vino), con vigne a Vinchio, ha presentato la sua annata 2014, colore rubino intenso, note di confettura, lieve balsamico, vigore e bel carattere, insieme alle altre annate del Nizza Docg.  L'Associazione Produttori del Nizza, guidata da Gianni Bertolino, produttore della Tenuta Olim Bauda, nell'immagine con l'enologo Claudio Dacasto, ha posto l'accento sull'impegno e la determinazione dei vignaioli nel realizzare un progetto fondamentale per il cammino e la crescita di questo vino ritenuto in passato ostico dai palati più esigenti. Oggi la Barbera d'Asti Nizza Docg, ha conquistato a buon diritto le tavole più prestigiose sfoderando doti e qualità. Ma è la versatilità di questo vino che colpisce: come nel caso di Michele Chiarlo con  "Cipressi" e Villa Giada di Andrea Faccio, con "Dedicato" e vigne ad Agliano, ricche di potassio. Una caratteristica che rende questo rosso particolarmente bevibile, con note di petalo di rosa, ottima armonia.

















DOVE COME QUANDO

Associazione Produttori del Nizza
Via Crova, 2
Nizza Monferrato (Asti)
segreteria@ilnizza.net
www.ilnizza.net



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