Stelle a parte, la guida Michelin funziona. Alzi la mano chi non ha consultato la “rossa” una volta nella vita. E' il contesto delle stelle che non va bene e per tutti coloro che vi ruotano intorno é una fissazione. Dopo l’ultima presentazione parigina, in Italia è la solita polemica da bar. Anche in Francia, Luc Dubanchet, tra i fondatori del congresso Omnivore, appena conclusosi a Deauville, attacca la Guida e il mondo gastronomico transalpino. Esemplare nel dire che la cucina francese non merita di finire sotto tutela dell’Unesco, “sarebbe una scelta disgustosa”; che sono inutili i rimandi all’epoca di Escoffier, “perché tecnica e servizio erano noiosi”; che la nouvelle cuisine altro non è “se non un piatto vuoto con un kiwi messo a parte”; dichiara che la leggendaria guida di pneumatici Michelin “è un peso morto, ed è stupido dare le stelle, perché non siamo a scuola”.
In ultima analisi Dubanchet, dice la verità, “la cucina francese non sta andando bene, conservatrice e seduta sugli allori del passato. Così noiosa da rimpallare sempre tra astice, foie gras e tartufo.” Una cucina ingessata, prigioniera. Con un futuro a tinte fosche. Secondo Dubanchet c’è una “battaglia da fare, il momento è di ripensamento e il cibo buono è globale, e noi francesi possiamo anche, per una volta, imparare…”. Una bella ammissione. Mi sarebbe piaciuto leggerla sui giornali italiani. Così come dei successi di Matteo Baronetto, il sous chef del ristorante Cracco, che a Deauville, ha conquistato tutti cucinando un disarmante risotto alla curcuma, e di Davide Scabin, che con il suo rognone al gin tonic, si è preso il premio come chef creativo dell’anno, secondo la guida Carnet de Route, redatta dallo stesso Dubanchet. Michelin, in fondo resta un ottimo bussines editoriale, come ce ne sono tanti. La cucina non c’entra per niente, è un’altra storia. La guida è l’opinione di un gruppo di lavoro: lo si accetta o lo si affossa. Non c’è alternativa. Non è una stella.
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