"La crisi viene da lontano, ha colpito duro e non è colpa dei produttori se li ha colti impreparati non essendo riusciti a prevederla per tempo neppure i premi Nobel dell’economia.
Il consumatore, di fronte alla riduzione del potere d’acquisto, ha abbassato anche la soglia del desiderio, anziché acquistare le eccellenze si è accontentato del buono quanto basta, che costa molto meno. Così dei prodotti tipici italiani a soffrire di più sono stati quelli di fascia di prezzo medio-alta.
Ha invece beneficiato della crisi il falso agro-alimentare, con parvenza italiana ma prodotto altrove, guadagnando mercato sia all’estero che in Italia.
Cosa fare? Sui rimedi i suggerimenti si sprecano.
- FARE PIU’ QUALITA’: ma per vino, olio, parmigiano… la qualità media non è mai stata così elevata.
- PIU’ RAPPORTO QUALITA’ PREZZO: ma si sono ormai fatti diventare buoni anche i vini offerti al pubblico a due euro a bottiglia.
- CHILOMETRO ZERO: per ora è un palliativo virtuoso. Serve a spronare i contadini a diventare piu’ intraprendenti, a confrontarsi con il mercato e aiuta i consumatori a capire di più della stagionalità dei prodotti agricoli.
- ACCORCIARE LA FILIERA: occorre prima che i produttori si uniscano per aggregare l’offerta.
- PIU’ MARKETING: sono ancora troppi quelli che si vantano di non fare marketing. Diffidano della parola, le attribuiscono un significato equivoco, di trucco finalizzato alla vendita.
- NO OGM: il divieto va invece rimosso. Piuttosto vanno educati gli agricoltori a essere piu’ responsabili e i consumatori a riconoscere e premiarne i prodotti attraverso norme di etichettatura adeguate.
- COSTRUIRE DOMANDA: in Italia ci pensano gia’ i produttori, il sostegno pubblico va destinato ai mercati esteri.
- L’EXPORT DIVENTI UNA OSSESSIONE: verissimo, occorre pero’ favorire la crescita imprenditoriale.
- PROTEGGERE I MARCHI ITALIANI sui mercati esteri, combattere le falsificazione: si può, si deve fare di più.
Se la crisi non allenta la morsa qualsivoglia rimedio perderà di efficacia.
Resta la cronica assenza sui mercati esteri della presenza di catene di supermercati (italiani e non) capaci di valorizzare le eccellenze dell’agro-alimentare di casa nostra. Assume grande significato l’apertura di EATALY a New York avvenuta nei giorni scorsi: nella grande mela i migliori prodotti del mangiare-bere italiano saliranno su un palcoscenico capace di esaltarne valore e immagine e costruirne domanda".
Un progetto per il futuro
"Nella situazione di mercato attuale i più fragili sono i produttori artigiani che costituiscono la stragrande maggioranza delle micro e piccole imprese italiane. Occorrono progetti atti a proteggere e valorizzare il lavoro degli artigiani. Da un anno la discussione s’è accesa attorno al marchio Made in Italy che vuol dire una cosa mentre il contenuto ne svela spesso un’altra. E’ una contraddizione impossibile da eliminare avendo, le aziende che hanno delocalizzato, meritoriamente contribuito all’affermazione del Made in Italy sui mercati internazionali.
Per gli artigiani potrebbe servire, di più, mettere in cantiere un nuovo progetto: ottenere che il prodotto TOTALMENTE realizzato in Italia abbia la facoltà (non l’obbligo) di essere contraddistinto da un logo, da un simbolo fatto realizzare dal più bravo dei designer italiani, da affiancare, oppure no, al Made in Italy.
Che comporti l’assunzione da parte del produttore dell’impegno (autocertificazione) di svolgere le fasi di lavorazione INTERAMENTE in Italia, con totalità di materia prima di provenienza italiana soltanto per l’agro-alimentare. Il progetto andrà sostenuto da una campagna di informazione atta a istruire il consumatore sul significato del simbolo.
Nel progetto vanno coinvolti non soltanto gli artigiani, ma anche le associazioni sindacali e quelle degli esercizi commerciali: l’interesse di proteggere il lavoro eseguito in Italia coinvolge tutti".
DOVE COME QUANDO
GAJA
via Torino, 18
Barbaresco (Cn)
tel. 0173635158
www.gajawines.com
Caro Mauro, difficile confutare le tesi di Angelo Gaja. Poi quel "produttori impreparati" quando neanche i Nobel per l'economia avevano previsto lo sfacelo in arrivo è una partenza bruciante nel discorso di Gaja. C'è da chiedersi: ma davvero gli economisti non ne sapevano nulla? O hanno infilato la testa nella sabbia? E sui produttori: secondo me solo la passione di chi fa il vi
RispondiEliminano salverà il mondo del vino. Per gli altri la vedo dura.
Far nascere una discussione mi sembra utile anche per valutare lo stato di reattività di un ambiente: se non c’è risposta o la domanda è stata posta male oppure c’è rassegnazione. Dalle parole di Gaja sembrerebbe che molto sia già stato fatto e che poco si potrebbe fare anche se d’importante. Penso, sinceramente, che il consumatore cambi linguaggio periodicamente e che sia destinato a frammentarsi e/o ad evolversi nelle sue esigenze in modo considerevolmente maggiore rispetto anche al recente passato. E’ nell’analisi di queste evoluzioni che potremmo trovare le chiavi di lettura per un futuro sempre e comunque dinamico e non pensare che, in assoluto, il vino italiano, solo perché di terra e di tradizione, si automaticamente adatto al futuro. Forse “totalmente italiano” è la via da seguire ma non credo che il vino sia il prodotto più a rischio da questo punto di vista. Un pensiero aleggia ed è quello della naturalità che in Italia sembra essere, dai più, snobbato …..
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