Da qualche anno le bollicine del Trento Doc fanno sentire il proprio perlage... Il futuro sta in una squadra con 37 campioni e circa nove milioni di bottiglie prodotte. Il 60 per cento griffato Ferrari. Manca ancora un piccolo balzo verso la consacrazione. Più squadra, più notorietà e spregiudicatezza, meno timori. Millesimati e cuvée sono pronti a dire la loro sul palcoscenico nazionale e internazionale. I modi sono da definire nel dettaglio, ultimo baluardo da superare. Soltanto così si potrà parlare di sfida con rivali autorevoli. Di questo e altro legato al mondo del Trento Doc si è parlato a palazzo Roccabruna con i direttori Maria Latella di A, Carlo Montanaro di Dove e Style, Enrico Manoja del Mondo e Mauro Remondino. L'occasione per presentare l'inserto del Corriere della Sera dedicato al Trentino.
UN ABATE TUTTO NERO
Lavis non è il solito villaggio di fondovalle con le stradine strette, il torrente Avisio che gli sfila accanto, la montagna incombente, Trento in prospettiva. E’ un luogo dove la viticultura è di montagna e i terreni sono vocati per quelle bollicine che reclamano autorevolezza a ogni sorso. Qui è nata una piccola, grande cantina: l’Abate Nero. Creata dalla passione di quattro amici, poi diventati soci e produttori. La voglia di realizzare Brut e Millesimati che esprimessero tutto il sogno e la realtà di terreni speciali e un microclima altrettanto favorevole alla vite. “Anche se il principe di queste creste di collina è lo Chardonnay”, dice Luciano Lunelli, l’enologo che ha fatto diventare la sua cantina un fiore all’occhiello della griffe Trento Doc. “Sono come le abbiamo volute queste bollicine”, è l’amarcord di questo professionista rimasto insieme a uno dei quattro soci, Eugenio de Castel Terlago, a guidare la proprietà. Un nome scelto per evocare l’abate di Epernay, Dom Pérignon, ma soltanto per un fatto di grande rispetto, perché su questi suoli dove corrono i filari in attesa del riposo invernale, Luciano ribadisce un concetto ben preciso: “Il Trentino è unico, irripetibile con le sue diversità da portare con orgoglio in palmo di mano. Qualche affinità con la Champagne l’ammetto per la meteorologia, ma il resto è davvero tutto nostro”.
Un lungo serpente di bottiglie che è cresciuto e ancora deve crescere sotto l’ombrello di Trento Doc, oggi con 37 cantine associate e circa nove milioni di bottiglie prodotte. Modello in cerca di consacrazione nel contesto della bollicina d’autore in Italia e all’estero. Soprattutto in America dove in questo momento le sparkling wine italiane sono guardate con entusiasmo. Le grandi firme come Ferrari e Cavit, motori trainanti, ma anche le realtà deamicisiane come l’Abate Nero. Appena sessantamila bottiglie prodotte, 500 quintali di uva a disposizione, otto ettari di vigna. “Nessuno di proprietà – ammette l’enologo – ma una scelta capillare di vigneti storici che lo staff di cantina segue durante le stagioni sino a quando i grappoli varcano la soglia dei nostri caveau”. Chardonnay in gran parte, “ esprime tutta la freschezza di questa valle, le note di fiori bianchi, l’acidità mai invadente, una golosità da bere. E’ questa viticoltura di montagna che ci cattura ogni giorno, da vivere”. La vena romantica di Lunelli non si placa: “Fare vino significa sognare, creare bollicine affascina”.
Una consacrazione per lui che da ragazzo appena uscito dalla scuola enologica di San Michele all’Adige si è cimentato con il Teroldego, vitigno a bacca nera, allevato quasi esclusivamente in Trentino, nella Piana Rotaliana. Altri tempi, altre sfide. Come l’ultima appena abbozzata la produzione di un Pinot Nero in purezza. “Senza scimmiottare nessuno, ma creando un prodotto che sia un segno distintivo”. Come sono le etichette più celebrate di questa cantina. Il Domini per esempio, cento per cento Chardonnay, un Blanc de Blancs, cullato e desiderato nel tempo della sua fattura, che oggi vanta sentori di frutta gialla, setoso ed elegante nella sua completezza. E ancora il millesimo Cuvée dell’Abate Riserva, dove il Pinot Nero, nella misura del venti per cento incontra lo Chardonnay. Un blend che può variare nella composizione di anno in anno, ma che offre sempre note di freschezza, finezza, lievi sentori di fiori bianchi, pane tostato e un finale sapido ed elegante. Poche bottiglie prodotte, appena 5-6000, come per le annate 2007 e 2005, in commercio in questo momento. Segnatempo di un ricambio generazionale che sta avvenendo naturalmente in questa cantina. L’ingresso di Andrea, figlio di Eugenio, attento alla rete vendita e Roberta, figlia di Luciano, laurea in sociologia e corso di laurea in amministrazione aziendale e diritto. Piccoli passi affinchè il sogno continui.