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domenica 20 febbraio 2011

IN MEMORY: SANTI SANTAMARIA









Santi Santamaria era un talento, è morto per infarto, a Singapore a 53 anni, troppo presto per tutti. Recentemente lo avevo incontrato in barca diretto, come me, a Barcellona. Lui tornava a casa a Sant Celoni, in Catalogna, dove guidava il suo splendido ristorante, che anni fa mi aveva presentato da orgoglioso ingegnere, e dove ho visto una delle cucine più belle e organizzate del mondo. Ho dormito anche da lui, la ex casa di suo padre diventata, grazie alla collaborazione della moglie Angels, il più piccolo Relais Chateaux del mondo. Racconta se stesso in uno dei suoi ultimi libri: "La cucina di Santi Santamaria, l'etica del piacere". Ho trovato questo articolo che ho scritto per il Corriere della Sera dopo una cena da lui condotta, avvenuta a Canelli nel 2002.


Le sue tapas fanno impazzire i golosi quando sono servite con il melone in gelatina, ma qui, sulle colline astigiane, un grande chef catalano, Santi Santamaria, ritrova tutti quei sentimenti che fanno della sua cucina qualche cosa di unico. Tradizionalista sino al midollo, pronto a difendere funghi porcini, lumache e tartufo, bianco o nero che sia, egli ricorda come suo padre, agricoltore, «campesinos», come meglio preferisce, lo portava nel bosco a cercare quei frutti che sono in via di estinzione. Da lì, dalla memoria, forse, è nato questo talento: ingegnere per caso, cuoco per vocazione. Qui, su queste storiche colline di casa Contratto, a Canelli, dove si celebrano grandi vini, ma anche grandi chef invitati a cucinare una volta al mese, Santamaria diventa, come dice l' amministratore delegato Carlo Bocchino, «autentico messaggero dell' arte di vivere». Filosofie pratiche, ma profonde. «Il cuoco apprende le tecniche per migliorare la sua creatività e io attraverso un piatto voglio risvegliare i sensi», dice il catalano, votato, come sostiene convinto, «all' umanizzazione della cucina». Fautore di quei prodotti naturali che la terra offre. «Ma bisogna affrettarsi - è il suo grido d' allarme -, la chimica e le adulterazioni sono realtà e le multinazionali del gusto non aspettano altro». Per arrivare dalla Catalogna, dove ha il suo ristorante «El Racó de Can Fabes» a Sant Celoni, ai piedi del parco naturale del Montseny, si è fatto in auto tutta la costa. Un Don Chisciotte del gusto pronto a stupire quando il suo mondo si chiude in cucina. Come ha fatto per i  commensali di casa Contratto. Gelée di astice con tartufi, per cominciare. Poi, budino salato allo zafferano, «per gli spagnoli, ma anche per gli italiani mi dicono, quella polverina gialla è una specie di bandiera da non tradire mai», puntualizza lo chef. Che ha stupito quando è stato servito il collo di maiale con caviale. «Stravagante», ammette ridacchiando. Poi ancora il piccione candito con aglio, altro ingrediente a lui caro, e quel delizioso sorbetto di arance di Valencia all'anice. Una sinfonia per questo quarantaquattrenne, tre stelle Michelin, amante della musica classica, Wagner, Beethoven e Mozart i suoi preferiti, e della pittura. Con un leader davanti a tutti. «Juan Miró - dice Santi -, di lui ho sposato la sua migliore composizione verbale: si diventa universali restando fedeli alle proprie radici». Anche in cucina. «Il vino italiano sta conquistando il mondo - dice lo chef catalano -, in carta ho Sassicaia, Brunello, Angelo Gaja». Curioso e culinariamente autodidatta, Santi Santamaria elogia la cucina di tre ristoranti piemontesi, Guido Alciati di Costigliole d' Asti, Cesare di Albareto della Torre, nelle Langhe, e San Marco di Canelli. Ma quasi si commuove a parlare di Nadia Santini, di lei dice: «Si emoziona quando cucina» e, di Gualtiero Marchesi, «un uomo che incute grande rispetto, intelligente e pronto al rinnovamento tra i fornelli». Avvolto, ma non stritolato dal talento, Santi rivela grande umanità quando ammette: «La mia vita è dedicata agli altri».

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